domenica 1 marzo 2009

Ma che cosa sta succedendo al nostro paese ??

Una volta il Bel Paese era tra le mete preferite dei turisti di tutto il mondo, ora siamo solo al quinto posto. Perché?

Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina piacciono più dell'Italia. Da qualche anno il Bel Paese è scivolato al quinto posto tra le mete preferite dei turisti stranieri. E le previsioni per gli anni a seguire, non sono ottimistiche, secondo l'Organizzazione mondiale del turismo. Nel 2020 il nostro paese rischia di perdere altre posizioni, a favore della Gran Bretagna e di Hong Kong. Un declino che potrebbe compromettere un intero settore, che vale il 10 per cento del Pil, che dà lavoro a due milioni di persone e muove ogni anno 90 miliardi di euro. A far guadagnare posizioni all'Italia non aiuta sicuramente l'atteggiamento degli italiani stessi nei confronti dei turisti.

Se da un lato l'86 per cento della popolazione italiana riconosce l'importanza del settore turistico per lo sviluppo del Paese, un 22 per cento si dice infastidito, quando è la propria città a essere meta di numerosi visitatori. Secondo l'istituto di ricerca milanese Ispo, un buon numero di nostri connazionali (il 90 per cento degli intervistati) ritengono che la presenza di turisti in una località ne aumenti il prestigio, in quanto simbolo di rilevanza culturale o paesaggistica. Resta però uno zoccolo duro infastidito dalla presenza massiccia di turisti a casa propria. Un percentuale che diminuisce al 13 per cento tra coloro che viaggiano anche all'estero e aumenta tra i residenti nel Centro, area che include città molto turistiche come Roma e Firenze, così come nei comuni di medie dimensioni (26 per cento).

Nonostante l'Italia perda sempre più posizioni nella classifica mondiale delle destinazioni turistiche mondiali più gettonate, se si guarda al numero di articoli pubblicati sulla stampa estera il primato è suo, almeno per le mete enogastronomiche. A dirlo, l'indice quantitativo d'immagine Indim rilevato in una ricerca realizzata dall'osservatorio BitLab, in occasione della 29esima edizione del Bit, la Borsa internazionale del turismo tenutasi a Milano, la settimana scorsa. Con un indice del 12,38 percento il Bel Paese si posiziona davanti a Grecia (11,95 per cento), Spagna (11,12 per cento), Francia (10,54 per cento) e Turchia (9,27 per cento). Il monitoraggio della stampa internazionale, effettuato nel periodo compreso tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2008 su 3.492 articoli di circa cento testate giornalistiche di 20 Paesi, ha permesso anche di tracciare una mappa delle nuove destinazioni preferite dai buongustai in Italia: dai boschi e i vigneti piemontesi fino alle colline umbre, passando per la campagne toscane e laziali per arrivare ai parchi calabresi dell'Aspromonte.

Una domanda sorge dunque spontanea, perché nonostante le bellezze paesaggistiche, artistiche, culturali e gastronomiche della nostra Penisola, l'Italia ha perso appel tra i turisti? È forse colpa degli alberghi troppo cari, dell'intermediazione delle agenzie di viaggio quando negli altri stati vanno fortissimo le prenotazioni online, della mancanza di alberghi più spartani e a prezzi più competitivi, come già succede all'Estero?

1 commento:

  1. Una prima spiegazione — poco originale e piuttosto sconfortante — è che la nostra industria turistica è poco competitiva. Nella speciale classifica del World Economic Forum, l'organizzazione che ogni anno cura il meeting di Davos, siamo solo al 28/mo posto. Buoni ultimi nella vecchia Europa a 15, dietro a tutti i nostri potenziali rivali come Francia e Spagna, che infatti attirano più stranieri di noi. E superati da Paesi che non hanno certo nel turismo il loro cavallo di battaglia come il Lussemburgo. Cosa vuol dire poco competitivi?
    I nostri difetti peggiori — secondo il rapporto del World Economic Forum — sono le infrastrutture non sempre all'altezza della situazione (alberghi ma non solo), la mancanza di un cervello pensante che possa organizzare l'offerta nazionale, e anche uno scarso utilizzo di Internet, che ormai è l'agenzia di viaggio più utilizzata al mondo.

    Forse è una caratteristica che si intona bene con l'immagine dell'Italia nel mondo, ma l'Organizzazione mondiale del turismo la sottolinea quasi con orrore. Nel nostro Paese solo il due per cento degli alberghi è affiliato ad una catena internazionale. Una fetta minuscola se paragonata non solo al 70 per cento degli hotel americani, ma anche al 12 per cento della Spagna, al 18 della Francia o al 20 della Gran Bretagna. Certo, lo straniero che sceglie l'Italia per le sue vacanze preferisce la gestione familiare della pensione al super hotel con mille stanze arredate tutti allo stesso modo....
    A parlare sono i soldi: la produttività del personale che lavora negli hotel italiani è bassa.
    Altra mancanza — secondo lo studio realizzato dai professori del master della Sapienza — è la scarsa attenzione a settori specifici che in tempo di crisi possono garantire la sopravvivenza, come il low cost e i giovani. In Italia praticamente non esistono i cosiddetti budget hotel, le catene con servizi spartani e tariffe contenute, che vanno forte in Francia e Spagna. Così come sono una rarità gli ostelli della gioventù, che magari non porteranno soldi a palate ma formano i viaggiatori di domani, quei ragazzotti che oggi girano con lo zaino in spalla e tra qualche anno potrebbero tornare con moglie, figli, e un portafoglio pieno di carte di credito. Siamo indietro, dunque. E siamo indietro non solo quando un inglese o un americano atterrano a Fiumicino o alla Malpensa ma già prima. Ormai in Europa il 34 per cento delle prenotazioni alberghiere viene fatto direttamente via Internet dai siti degli hotel, saltando l'intermediazione delle agenzie. Un modo per risparmiare qualche euro che — con la crisi economica e la filosofia del risparmio che conquista anche i ricchi — è destinato a diffondersi sempre di più. Ecco, in Italia le prenotazioni via Internet sono al 24 per cento, dieci punti sotto la media europea. Per la semplice ragione che sono pochi gli hotel che offrono questo servizio: il 60 per cento contro una media europea del 72 per cento. Le bacchettate non finiscono qui.

    Lo studio sottolinea come l'Italia spenda per la promozione più o meno la stessa cifra degli altri Paesi del Vecchio continente: 160 milioni di euro l'anno contro i 180 della Francia e 170 della Spagna. Solo che più della metà di questa somma viene assorbita dagli stipendi e dalle consulenze delle strutture che di questo si occupano. Così come manca, sempre secondo la ricerca, un coordinamento reale che promuova il marchio Italia, magari unendo gli sforzi di città d'arte, mare e montagna che oggi corrono ognuno per conto proprio e invece potrebbero finire facilmente nelle stesse campagne e negli stessi pacchetti. Il risultato di questo triste panorama? Ci aiutano le fosche previsioni del «World travel & tourism council», l'organizzazione mondiale che riunisce i principali operatori del settore. Tra dieci anni l'Italia rischia di perdere un posto (dall'ottavo al nono) nella classifica mondiale del Pil del settore turistico, di perdere un altro posto (dal quinto al sesto) nella graduatoria dei soldi portati dai viaggiatori stranieri. E addirittura di uscire dalla top ten, oggi siamo ottavi, per gli investimenti nel settore turistico. Un disastro che non solo offuscherebbe l'immagine di quello che un tempo era chiamato il Belpaese. Ma che darebbe un colpo forse mortale ad un'economia già scricchiolante.

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